Giu 042011
 

FOLLONICA – Serve un’agenzia di monitoraggio pubblica di cui facciano parte anche le associazioni ambientaliste. E’ questa la richiesta del comitato per il No all’inceneritore di Scarlino, del coordinamento dei comitati ambientalisti provinciali e del Las (Lavoro Ambiente Salute] all’amministrazione provinciale. L’appello alla Provincia è stato lanciato ieri mattina durante una conferenza stampa congiunta dei comitati ambientalisti di zona durante la quale Elisabetta Menchetti, esperta del comitato per il No all’inceneritore, ha illustrato i dati sulle emissioni presentati daScarlino Energia da cui emergerebbero delle discrepanze di un certo rilievo. “Da tempo – ha spiegato Mario Monciatti presidente del Comitato per il No – abbiamo chiesto all’amministrazione provinciale la creazione di questa agenzia di monitoraggio ‘super partes’ senza però avere risposte precise sulla sua creazione. Adesso pretendiamo la formazione di questa agenzia che dovrebbe controllare sia i dati forniti da Scarlino Energia che quelli dell’Arpat in cambio siamo pronti a mettere a disposizione la partecipazione degli esperti dei comitati ambientalisti del territorio”. Tale partecipazione garantirebbe ai cittadini di essere rappresentati anche all’interno degli enti che dovrebbero monitorare il corretto funzionamento dell’impianto di smaltimento di Scarlino. Irene Vaggelli

Fonte: Corriere di Maremma del 29/05/2011

Giu 042011
 

PAOLA VILLANI
SCARLINO. È giallo sulle emissioni dell’inceneritore di Scarlino: «Non ci sono controlli pubblici e quelli dell’azienda sono in contraddizione», dicono dal comitato per il No all’inceneritore supportando la dichiarazioni con tanto di dati, numeri e ricerche scientifiche. La battaglia contro l’impianto di Scarlino arriva ad un altro round: il comitato, insieme al coordinamento provinciale dei gruppi ambientalisti e all’associazione Las, (Lavoro Ambiente e Salute) torna all’attacco. Punto nodale della questione stavolta sono i controlli che – dicono – non sono pubblici e di conseguenza a parere loro manca un’informazione precisa e dettagliata che metta a conoscenza i cittadini su ciò che quell’impianto produce a livello di inquinamento (diossine e metalli pesanti in primis). «Da quando l’inceneritore ha iniziato a bruciare il Cdr (combustibile da rifiuti) non abbiamo avuto notizia di verifiche pubbliche, se non una voce su un controllo dell’Arpat fatto a febbraio scorso del quale non abbiamo però certezza, mancando gli atti» spiega Elisabetta Menchetti, del coordinamento provinciale. «In più quando andiamo a leggere i dati forniti dall’azienda, (che si riferiscono al 2009 quindi quando ancora si bruciava solo biomasse) ci accorgiamo che le emissioni vengono suddivise in due parti, perché esistono due camini dai quali escono i fumi: quindi è come se si dividesse in due l’inquinamento prodotto e non lo considerasse nel totale, e cioè quello che veramente arriva sul territorio. Questi dati pubblicati sul giornalino dell’azienda poi sono in contraddizione perché prima si parla di un valore di diossina poi subito dopo in un altro schema andando a fare i calcoli quel dato aumenta, sforando i limiti previsti dalle norme. Dobbiamo poi aver ben presente che il momento di maggior inquinamento avviene quando l’impianto si ferma e riparte: in questi frangenti i controlli dovrebbero essere rafforzati e invece non abbiamo nessun documento che ci indichi che cosa accada. Dal primo dicembre al primo maggio l’inceneritore si è fermato ben 8 volte: le emissioni di diossina crescono e non di poco». Dal comitato raccontano poi che la risposta fornita da Arpat al sindaco di Follonica a gennaio, sugli odori che arrivavano dall’area dell’impianto, si riferiva esclusivamente ai dati forniti dall’azienda. «L’amministrazione in questo caso non poteva richiedere altre verifiche? – si domandano -. Quello che continuiamo a chiedere agli organi competenti, è che si effettuino esami pubblici e a sorpresa, e che la promessa di creare un’agenzia di controllo (fatta dal presidente della Provincia) venga rispettata, abbandonare le finzioni e guardare in faccia la realtà, perché le diossine e i metalli pesanti possono causare patologie gravi».

Fonte: Il Tirreno del 29/05/2011

Giu 042011
 

«DA DICEMBRE a maggio l’inceneritore del Casone si è fermato otto volte». A denunciare l’accaduto sono gli ambientalisti del Comitato per il No, assieme all’associazione Lavoro ambiente e salute e al Coordinamento provinciale dei comitati per l’ambiente. A preoccupare gli esponenti delle associazioni ovviamente non è l’inefficienza dovuta agli stop dell’attività, ma il fatto che proprio nelle occasioni di accensione e spegnimento l’inceneritore emana la maggiore quantità di diossine. «Nonostante i continui blocchi dell’impianto — dice Elisabetta Menchetti, in rappresentanza dei tre gruppi ambientalisti — non ci risultano controlli pubblici sulle emissioni. Eppure è capitato che l’inceneritore si sia fermato anche due volte in tre giorni, emanando così una grande quantità di fattori inquinanti. Gli unici dati che abbiamo a disposizione sono quelli forniti dall’azienda, mentre l’Arpat, da quando l’inceneritore brucia anche combustibile da rifiuto (cioè da dicembre), ha svolto un solo rilevamento senza aver ancora pubblicato i dati. Quali sono le garanzie per la salute dei cittadini?». Che i controlli pubblici siano «rari» lo dimostra anche la risposta a un esposto avanzato mesi fa dal sindaco di Follonica Eleonora Baldi alle autorità competenti per denunciare cattivi odori in alcuni quartieri di Follonica. «In quell’occasione — continua Menchetti — è stata proprio l’Arpat a scrivere al sindaco, riferendosi ai dati dell’azienda che gestisce l’inceneritore: segno che non esistono documenti pubblici su cui basarsi. Se dovesse esserci qualche problema è ovvio che i privati non avrebbero nessun interesse a farlo emergere. Sta agli enti pubblici tutelare la popolazione». E la denuncia degli ambientalisti arriva a pochi giorni da una nuova iniziativa del sindaco di Follonica: su indicazione dei cittadini, ha segnalato al Noe nuovi miasmi e rumori sospetti dalla zona industriale del Casone.

Fonte: La Nazione del 29/05/2011