Ott 312016
 

SCARLINO. I lavori e gli interventi vanno avanti, ma l’attenzione alla piana del Casone e sul resto del territorio che la circonda sembra affievolita. Da tempo non c’è più una discussione pubblica riguardo le tematiche ambientali scarlinesi. Così l’associazione Lavoro Ambiente e Salute ha organizzato per domani un incontro nella sala Auser di Scarlino Scalo, alle 17, dal titolo “Falde acquifere e arsenico: la possibile bonifica”, a cui parteciperà l’esperto Gianfranco Chighine della Tegaia srl. «Il nostro comprensorio, negli ultimi sessant’anni della sua storia industriale, è stato inquinato con sostanze di natura diversa – spiegano dall’associazione – Il problema maggiore rimane l’alta concentrazione di arsenico presente nei terreni e la sua presenza massiva nelle falde acquifere dove, durante gli anni, questo elemento si è trasferito. Per la riduzione dell’inquinamento delle falde è stato approvato dal comune di Scarlino un progetto di bonifica». Sarà il sistema giusto?

La discussione è stata portata avanti per lungo tempo e ora Lavoro Ambiente e Salute vuole riproporla attraverso un incontro pubblico a cui sono invitati cittadini e istituzioni. Obiettivo, «portare ai nostri concittadini informazione e discutere sui benefici e sulle problematiche che caratterizzano questi processi industriali di bonifica» conclude la nota d’invito. (a.f.)

Fonte: Il Tirreno del 28/10/2016

Nov 182014
 

IL REGISTRO dei tumori? Esiste già nella zona di Follonica e Scarlino. Ad occuparsene sono due associazioni che sono riuscite negli anni ad ottenere i dati dalla Asl e dalla Regione e che hanno intenzione di portare avanti questa battaglia per la salute della popolazione. «Nell’ultimo mese sono apparsi diversi interventi a nome di Rifondazione Comunista e del Movimento 5 stelle nei quali si chiede che venga attivato nella zona il registro dei tumori dicono Antonio Pavani di Lavoro, Ambiente e Salute e Mario Monciatti del comitato per il No all’inceneritore . È per noi confortante sapere che ci sono forze politiche condividono le richieste dell’associazione e del comitato e ci auguriamo che il loro interessamento continui anche in futuro». ECCO il motivo per cui questo strumento è così importante: il registro dei tumori è uno dei mezzi per monitorare lo stato di salute della popolazione, particolarmente utile per capire le connessioni esistenti, in un certa area e in un determinato arco temporale, con l’ambiente e lo stile di vita. «Da più di due anni l’associazione Lavoro, Ambiente e Salute continuano Pavani e Monciatti ha intrapreso una serie di iniziative sulla nostra Asl e con l’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica della Regione Toscana, che hanno recentemente portato a positiva conclusione l’iter per l’attivazione del registro dei tumori che possiamo considerare operativo. Infatti la nostra Asl ha già inviato i primi dati. Adesso è necessario seguire con assiduità il procedere dell’indagine, ed in questo l’aiuto e l’interessamento delle forze politiche, ci auguriamo tutte, non può che giovare». Ma non basta: «Altre indagini sono necessarie spiegano Pavani e Monciatti per tenere sotto controllo le connessioni fra danni ambientali e stato di salute della popolazione. Per questo motivo, oltre all’attivazione del registro, abbiamo chiesto alla Asl di Grosseto di controllare la filiera alimentare locale per rilevare in che percentuale le diossine e le sostanze diossina simili presenti sul territorio siano entrate nella catena». PERCIÒ per il 2014, all’interno dei controlli disposti annualmente dalla Regione, la Asl ha previsto un extra-piano mirato sul territorio di Follonica e Scarlino. I risultati delle analisi verranno pubblicati con una nota esplicativa nella prossima news mensile dell’associazione Lavoro Ambiente e Salute. La battaglia non finisce qui: l’associazione e il comitato richiederanno anche nel 2015 ulteriori indagini, pensando ad altri inquinanti presenti nella Piana di Scarlino in quantità estremamente preoccupanti, arsenico in primis.

Fonte: La Nazione del 17/11/2014

Set 042014
 

SULLA NATURA, ma soprattutto sulla eventuale pericolosità delle ceneri di pirite si baserà l’esposto che il Forum ambientalista invierà al ministero dell’Ambiente e alla procura di Grosseto. Sotto tiro la Nuova Solmine che quelle ceneri «le ha commercializzate come sottoprodotto — unite al cemento — e vendute in varie parti d’Italia». E’ questa la nuova accusa che il Forum, rappresentato da Roberto Barocci e altri cittadini con lui, lanciano alla Nuova Solmine. E qui non si tratta di emissioni di anidride solforosa oltre i limiti di legge. Qui si parla di ceneri di pirite e, quindi, di arsenico, una sostanza altamente cancerogena.
«LE CENERI di pirite (quelle per intenderci che sono nel cosiddetto ‘panettone’ di Scarlino) — prosegue Roberto Barocci — erano classificate da tutti gli enti pubblici e dalla stessa Nuova Solmine rifiuto tossico e nocivo, prima del 1997 e poi definite rifiuto pericoloso col decreto Ronchi, sia sulla base del loro elevato contenuto di arsenico». Proprio di recente, invece, l’azienda scarlinese, nella domanda presentata al Ministero per la revisione delle prescrizioni Aia, sottolinea come «La Nuova Solmine ha sempre gestito il materiale in questione quale sottoprodotto da destinare ad altro processo produttivo, non manifestando in nessun caso l’intenzione di volersene disfare». E’ qui il punto di rottura con gli ambientalisti che sostengono come proprio la gestione delle ceneri come sottoprodotto vada contro quanto sostenuto anche dalla Corte Costituzionale.
INOLTRE, il Tribunale amministrativo del Veneto ha di recente rigettato la richiesta della società Orinoco, ex Veneta Mineriaria, che tendeva a ottenere dal giudice amministrativo che le ceneri di pirite fossero considerate un rifiuto. Riconoscimento negato a causa della pericolosità delle quantità di arsenico cedute alle acque meteorologiche e alla laguna di Venezia. Questo il quadro d’insieme, in cui non difettano le accuse di mancato controllo da parte degli amministratori pubblici. Ciò che Barocci e il suo Forum vogliono far emergenze, infatti, è la «mancanza di controllo di applicazione delle normative. Non può essere sempre la magistratura — non si stanca di ripetere Barocci — a dover intervenire, come è capitato nel caso delle emissioni di anidride solforosa sempre da parte della Nuova Solmine». I «nominati» quali amministratori che avrebbero dovuto vigilare sono l’assessore regionale Anna Rita Bramerini e il presidente della Provincia Leonardo Marras. «Non potranno dire — sottolinea Barocci — che non hanno competenza su come vengono gestiti i rifiuti. L’assessore regionale Bramerini e l’ex presidente della Provincia Marras oggi affermano che hanno sempre vigilato, dovrebbero invece confrontarsi con queste autorevoli valutazioni e giustificare il proprio silenzio, considerando che i loro dirigenti erano a conoscenza del fatto che fino al 2014 la Nuova Solmine ha continuato a trasferire con le ceneri l’arsenico in tutta Italia».
Cristina Rufini

Fonte: La Nazione del 04/09/2014

Set 022014
 

di Alfredo Faetti SCARLINO In certi campi non è così semplice dare una definizione chiara alle cose. Ad esempio, scavando nelle documentazioni che si sono accumulate nel corso dei decenni, viene fuori che la stessa materia può essere classificata sia come «rifiuto» che come «sottoprodotto», a seconda dell’uso che se ne fa. E la Nuova Solmine di Scarlino ha avuto le autorizzazioni per trattare le ceneri di pirite in entrambi i modi, anche se poi le ha sempre vendute, utilizzandole quindi come prodotto. Il doppio asso nella manica risale addirittura al 1997, all’epoca del decreto Ronchi, il primo a chiudere in uno schema ben delineato la questione rifiuti. Ma la doppia possibilità, seppur teorica, non ha convinto l’Ispra, che ha bloccato questo mercato della società in quanto «difformemente da quanto indicato nel decreto di Aia che invece le annovera tra i rifiuti destinati all’attività di recupero». Da qui è nata la nuova istanza della Solmine, con cui chiede di poter continuare a utilizzare le ceneri come sottoprodotto, che arriverà al ministero nelle prossime settimane per una decisione definitiva, sicuramente entro settembre. La discussione sull’asse Casone-Roma è già partita da tempo, con incontri tra rappresentanti della società e funzionari ministeriali per venire a capo della situazione. Dopo la denuncia del deputato Forza Italia Monica Faenzi e degli ambientalisti, sono molti gli aspetti del polverone che si è alzato. E se da una parte si aspettano gli sviluppi dell’inchiesta, dall’altra l’azienda di Luigi Mansi vuole chiudere al più presto la questione delle ceneri di pirite: non solo per dimostrare di aver fatto tutto in modo corretto, ma anche per far riprendere un mercato che, per quanto secondario nel proprio bilancio, ha un’ottima risposta, come dimostrano le pressioni a Roma di cementifici come la Buzzi Unicem e la Venezia Mineraria, che hanno stoppato la produzione ora che la Solmine non può rifornirli. Il momento decisivo per sbloccare almeno questo stallo si avrà a breve, dato che tutta la documentazione è già in mano al ministero. Un faldone che si aggira, ancora una volta, attorno ad una definizione: «mercuriali». Così sono sempre state identificate le ceneri di pirite, trattate come qualsiasi prodotto industriale fino al 1997, anno in cui l’allora ministro Edoardo Ronchi (governo Prodi) si prepara ad emettere il suo decreto, annunciato per giugno, con la sensazione che le ceneri possano passare da «prodotto» a «rifiuto». Alla Solmine così si gioca d’anticipo: chiedere l’autorizzazione in semplificata alla Provincia prima che cambi il quadro normativo, così da poter continuare a utilizzare le ceneri già pronte per il commercio. Servono 90 giorni per il rilascio di questa autorizzazione e chiederla con tre mesi di anticipo permetteva alla società di non subire interruzioni che ci sarebbero state se la richiesta fosse arrivata solo a decreto approvato. La Provincia diede l’ok, ma Ronchi spiazza tutti, stabilendo che i mercuriali che hanno mercato continueranno ad avere le stesse caratteristiche. Insomma, vendute o smaltite, l’importante è che spariscano. La società scarlinese così si trova un’autorizzazione nel cassetto che in realtà non utilizzerà mai. Arriviamo così al rilascio dell’Aia nel 2010, che definisce le ceneri un «rifiuto». O meglio, andiamo direttamente al 2011, quando il ministero richiede tutte le autorizzazioni in mano alla Solmine: quelle relativa agli scarichi, alle emissioni e appunto alla ceneri. I controllori chiedono alla società se, forte del permesso ottenuto nel ’97, abbiano mai usato questo materiale come rifiuto, che avrebbe altri tipi di costi e procedure. No, mai: assicura la società, che ne ha sempre fatto un prodotto. L’Ispra però vuole vederci chiaro in questo doppio permesso e ha bloccato il commercio.

Fonte: Il Tirreno del 02/09/2014

Ago 292014
 

L’ASSESSORE regionale Anna Rita Bramerini mette un punto fermo anche sul trattamento delle ceneri di pirite, altra contestazione sollevata alla Nuova Solmine. «La società a maggio 2013 — spiega Bramerini — ha presentato al ministero istanza di riesame dell’Aia 2010 per la loro gestione come sottoprodotto. Il ministero ha avviato il procedimento di riesame. Il gruppo istruttore della commissione Aia ministeriale, esaminata la documentazione, ha ritenuto di non poter accogliere l’istanza presentata dalla Solmine. La società ha comunicato agli enti competenti la sospensione della vendita delle ceneri di pirite ai cementifici. Successivamente ha fornito al ministero dell’Ambiente nuovi elementi sulla gestione delle ceneri di pirite rispetto a quelli già oggetto di istruttoria da parte della commissione Aia-Ippc. Il Mattm ha pertanto avviato a luglio 2014 un nuovo procedimento di riesame sulla gestione delle ceneri di pirite come sottoprodotto».

Fonte: La Nazione del 29/08/2014

Ago 282014
 

LAURA MONTANARI
C’È UN’INCHIESTA della magistratura di Grosseto sulle emissioni di anidride solforosa e ossidi di azoto della Nuova Solmine di Scarlino. Nessun indagato: sono però scattati una serie di controlli, come conferma il procuratore Giuseppe Verusio. La procura ha incaricato dei periti per monitorare la fabbrica dopo che i tecnici dell’Ispra, l’Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale, avevano riscontrato il superamento dei limiti di legge per alcuni inquinanti. L’industria appartiene al gruppo Mansi, leader nella produzione di acido solforico. «Siamo tranquilli abbiamo appena investito due milioni e mezzo di euro lo scorso giugno applicando la migliore tecnologia sulle nostre emissioni — spiega Luigi Mansi, l’industriale alla guida della Nuova Solmine — oggi siamo molto al di sotto dei limiti consentiti dalla legge ». Eppure alcuni ambientalisti non sono ne sono convinti. Ieri mattina, in una conferenza stampa, Roberto Barocci del Forum Ambientalista grossetano ha spiegato che «la Nuova Solmine ha chiesto più proroghe dal 2007 al 2010 rispetto alle prescrizioni della commissione istruttrice che esprime il parere al ministro sull’autorizzazione integrata ambientale. Il ministro nel 2010 concede l’autorizzazione condizionata, dà due anni di tempo per realizzare le prescrizioni».
«GLI ispettori del ministero hanno verificato la non ottemperanza delle prescrizioni date segnalando la violazione alla procura della repubblica» prosegue Barocci che sottolinea: «E’ rischioso il silenzio degli amministratori pubblici locali, qui c’è un problema politico non va affrontato in sede giudiziaria. Noi non chiediamo la chiusura dell’impianto, ma soltanto che si adegui con investimenti possibili e ragionevoli». Alla conferenza ad affiancare Barocci c’era anche Monica Faenzi, deputata di Forza Italia e Massimo Artini del M5S.
Gli ambientalisti sostengono che oltre al problema delle emissioni, esiste anche «quello degli scarichi a mare e quello della gestione di rifiuti pericolosi come la pirite contenente arsenico fuori norma». La questione delle ceneri di pirite è una vicenda che la Nuova Solmine ha ereditato dall’impianto rilevato da Eni, sostiene Luigi Mansi: «Ne avevamo due milioni di tonnellate, ora ne sono rimaste stoccate circa quattrocentomila. Ogni volta che cambia un ministro viene cambiata anche la normativa e in questi anni le ceneri di pirite sono passate da materia prima secondaria a rifiuto… Noi abbiamo semplicemente chiesto al ministero che ci venga fornita l’esatta classificazione della materia per procedere poi al suo trattamento. Le abbiamo ereditate e le abbiamo messe in sicurezza. Non capisco questi attacchi, siamo un’impresa leader in Italia nella produzione di acido solforico, diamo lavoro a tante persone, forse diamo fastidio a qualcuno…» ( l. m.)

Fonte: La Repubblica del 28/08/2014

Ago 282014
 

di CRISTINA RUFINI
«EMISSIONI di anidride solforosa e ossido di azoto ben oltre il limite massimo consentito dalla legge e ceneri di pirite trattate come semiprodotto invece che come rifiuto». Sono queste le due contestazioni che gli ispettori dell’Ispra — quindi ministeriali — e dell’Arpa fanno alla gestione della Nuova Solmine di Scarlino e inviate alla procura della Repubblica a marzo scorso, che ha portato all’apertura di un’inchiesta coordinata dal sostituto Marco Nassi. «Il gestore — si legge nella segnalazione — ha continuato nel corso del tempo a utilizzare le ceneri di pirite in regime di sottoprodotto difformemente da quanto indicato nel decreto di Autorizzazione integrata ambientale che invece le annovera tra i rifiuti». Tutto fa capo, appunto, all’Autorizzazione che l’allora ministro dell’ambiente, Stefania Prestigiacomo, rilascia nel 2010 con tanto di decreto alla Nuova Solmine, condizionandola però al mettersi in regola coi nuovi parametri sulle emissioni voluti dalla normativa entro due anni. Viene istituita una apposita Commissione di controllo cui di fatto la dirigenza in più di un’occasione nel corso degli ultimi cinque anni chiede e ottiene proroghe per l’adeguamento. Fino al 23 maggio scorso quando, a distanza di sette anni dall’avvio del procedimento per l’ottenimento definitivo dell’Aia, l’ufficio ministeriale competente per le verifiche ha comunicato che la procedura d’esame si è conclusa, certificando che la Nuova Solmine non ha ottemperato alle prescrizioni , chiedendo nuove proroghe «senza fornire un programma di adeguamento ai limiti prescritti e ha comunicato attività di studio e non una scelta tecnica definitiva». Da qui la decisione di ritenere l’azienda «inottemperante». Di fatto, due mesi prima — a marzo — gli ispettori di Ispra e Arpa avevano già comunicato alla magistratura l’inottemperanza, rilevata nel corso dei sopralluoghi eseguiti in azienda tra il 4 e il 6 febbraio scorso.
IN PARTICOLARE è stato rilevato — come riportato nella segnalazione — «la mancata ottemperanza alle disposizioni del decreto Aia che prevedeva un termine di 24 mesi ( a partire dal 2007), per il rispetto dei valori limite per le emissioni in atmosfera, in particolare per quanto riguarda la prescrizione per il camino B1-F che convoglia i fumi derivanti dall’impianto di produzione dell’acido solforico. Di adottare tecnologie che consentano di transitare dal valore rilevato di 1.200 microgrammi per metro cubo a quello di 680, che è il massimo consentito dalla legge. Adeguamento che avrebbe dovuto essere raggiunto a febbraio 2013, come limite massimo, e non è mai stati conseguito. Gli ispettori hanno poi contestato, in merito alle ceneri di pirite, che «l’azienda trattandole come sottoprodotto ha sempre omesso di seguire le procedure tecniche necessarie e obbligatorie per la gestione di un rifiuto».

Fonte: La Nazione del 28/08/2014

Mar 012014
 

SCARLINO – Una targa per ricordare il dottor Emilio Diversi, medico di Scarlino, morto nell’ottobre 2012. Era arrivato in paese all’inizio degli anni ’80 da Orbetello, suo paese d’origine, come medico di base. Da allora aveva curato tutti a Scarlino per trentuno anni.
Per questo, per ricordare lui e la sua opera, Antonio Pavani, presidente della L.A.S. (Lavoro, Ambiente e Salute) di Scarlino, ha voluto consegnare, presso la sala Auser di Scarlino Scalo, la L.A.S.tra d’Oro 2014 alla Lucia Falaschi, moglie di Emilio Diversi. Alla consegna è intervenuta anche la dottoressa Pierangela Domenici che ha tracciato un profilo di Emilio Diversi e la figlia Virginia.

Fonte: ilgiunco.net del 25/02/2014

Feb 102014
 

di Francesca Ferri SCARLINO Tre macchie viola scuro si allargano in cerchi concentrici color fucsia, poi rosso, poi arancio e quindi giallo. E il giallo si allunga a est e a ovest della zona industriale della piana di Scarlino, ben oltre il canale Solmine, fino a ricoprire il quartiere Cassarello di Follonica. La legenda non lascia spazio ai dubbi: la zona contaminata da arsenico nella piana di Scarlino ha oltrepassato di gran lunga i punti in cui era circoscritta fino al 2011. La tavola 4c, che pubblichiamo qui a fianco, fa parte dello studio commissionato dal Comune di Scarlino alla società Ambiente di Firenze, che si è aggiudicata la gara per studiare la situazione della contaminazione da arsenico della falda superficiale ed elaborare un progetto di bonifica. Aggiornato al 16 maggio 2013, è l’ultimo studio sulla zona ed è stato presentato lunedì in conferenza dei servizi a Scarlino (presenti Comune, Regione, Provincia, Arpat, Asl). E descrive una situazione allarmante. La tavola evidenzia tre focolai (uno a due teste) di inquinamento, indicati con il colore viola. Viola significa la più massiccia presenza di arsenico, da 800 a oltre 1200 microgrammi per litro; poi, a scendere, fucsia da 600 a 800; rosso tra 550 e 600; arancio da 350 a 550 e infine giallo da 10 a 350 microgrammi per litro. Per chi non lo sapesse già, il limite di legge per la concentrazione di arsenico nell’acqua è di 10 microgrammi per litro (nella cartina corrisponde al colore bianco). Confrontandola con la cartina che si riferisce al 2011, la differenza è evidente. In questa mappa i livelli di arsenico sono indicati con cerchietti rossi. Quelli più piccoli indicano concentrazioni di arsenico entro i 10 microgrammi per litro, cioè nella norma. Quanto alla zona verso Follonica, non risulta contaminazione. Ieri il sindaco, Maurizio Bizzarri, intervistato dal Tirreno, ha dichiarato che la zona inquinata non si era allargata. Oggi la parola va al portavoce del Forum Ambientalista, Roberto Barocci, che da anni combatte perché siano riconosciute le responsabilità sull’inquinamento della piana e denuncia i rischi per la salute connessi alla contaminazione. Anche Barocci lunedì era presente alla conferenza. E oggi rende noti i dati discussi al tavolo, che descrivono una situazione ben più grave. Barocci, a che risultato è giunto questo ultimo studio? «Gli studi precedenti, in particolare lo studio Tiezzi del 2002 e lo studio Biondi Donati del 2011, commissionato dalla Provincia, limitavano l’inquinamento all’area tra il canale allacciante a est e il canale Solmine a ovest. Rispetto a questi studi le nuove planimetrie evidenziano un allargamento dell’inquinamento, soprattutto arsenico e manganese, a tutta l’area industriale di Follonica e a una parte di Cassarello». A che livello è l’arsenico? «Nella zona storicamente più inquinata è pericolosissimo. L’arsenico è a un livello tale che basterebbe lavarsi le mani con quest’acqua per sviluppare tumori della pelle. Ma in questo caso l’ordinanza del Comune di Scarlino che ne vieta l’emungimento ai privati garantisce contro questo rischio. Purtroppo però i dati che abbiamo in quest’ultimo studio dicono che c’è un pericolo molto serio anche nel comune di Follonica». Ed è un pericolo nuovo? «Sì, nuovo da due anni a questa parte o, almeno, non precedentemente segnalato. Se poi qualcuno dice che non c’è nulla di nuovo, vuol dire che in passato non hanno segnalato una condizione pericolosa per la popolazione. E ciò sarebbe molto più grave». Che rischi corre la gente? «Nel comune di Follonica i valori sono 50 volte superiori ai limiti di legge. Ma bisogna essere onesti e non fare allarmismo: il colore giallo dice che qui l’acqua è pericolosa se si beve per molto tempo. Solo dove è segnalato il rosso significa che l’acqua è pericolosa anche per l’annaffiatura». Però la zona rossa avanza su Follonica. Perché? «Il movimento di queste falde, è dimostrato, è condizionato dai pozzi presenti nella zona di Follonica che sottraendo pressione nei punti di emungimento producono una depressione che richiama acqua. Ciò dimostra che le barriere fatte finora non hanno avuto effetto, tant’è che nel nuovo progetto sono sostituite. Che fare? È necessario che il Comune di Follonica intervenga subito e imponga il divieto all’emungimento dell’acqua. È in gioco la vita di chi la usa». Anche la contaminazione da manganese si è allargata? «Sì, e anche questo è preoccupante. Il manganese non è cancerogeno ma è comunque tossico. In alcune zone è 5 volte più alto della norma. E arriva fino alla zona sportiva». Alla fine quanto arsenico c’è nella falda? «Purtroppo storicamente si è sottovalutata la quantità di arsenico disperso negli anni dall’attività industriale di Eni. L’unico studio recente che ha quantificato la probabile dispersione di arsenico nell’area è lo studio Tiezzi del 2002 che parlava di un probabile inquinamento di 539 milioni di metri cubi d’acqua. Come dire un campo di calcio alto 53 chilometri. La nostra legislazione, purtroppo, stabilisce limiti di emissione e pericolosità solo in base al parametro della concentrazione, in questo caso i microgrammi per litro. Ma questi criteri andavano bene 50 anni fa, rispetto agli inquinanti allora in gioco, quando i “contenitori” acqua o atmosfera potevano esser considerati illimitati. Con le tecnologie di oggi non basta: non è vero che il “contenitore” è illimitato. Le tonnellate di arsenico da qualche parte vanno smaltite. Bisogna dire basta a un’impiantistica che concentra le quantità. È un problema culturale».

Fonte: Il Tirreno del 06/02/2014